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mercoledì 31 dicembre 2014

I perdenti


Non so perché, ma da un po' di giorni mi dico che voglio scrivere un pezzo sui perdenti. 
Perché? 
Perché mi piacciono. 
Ho una naturale simpatia verso i perdenti. Non per questo aspiro ad essere tale, anzi sono sicuro che nessuno vuole esserlo. Eppure si è perdenti e nel mondo sono più numerosi coloro che appartengono a questa classe che a quella dei vincenti.
Ma chi sono i perdenti?
Coloro che non vincono, semplice, no?
Allora lo siamo tutti, non si è mai completamente vincitore nella vita, anzi non lo è nessuno perché, alla fine, moriamo ed anche i vincitori che nulla possono contro la morte. 
Discorso chiuso, direte voi!
Ed invece no, perché in questa vita noi ce ne freghiamo della morte e facciamo tutto come se non esistesse, come se riguardasse gli altri, non noi.
Provate a pensare alla morte e tutto vi sembrerà caduco: la carriera, il lavoro, i soldi, la bellezza ... eh sì, anche l'arte! La mia cara ed amata arte! Concentratevi sull'opera più bella che, secondo il vostro gusto e la vostra inclinazione, un uomo abbia mai eseguito. 
Per quanto bella possa essere, per quanto sublime rimane vacua di fronte alla ineluttabilità della morte.
Hominem te esse memento! Memento mori! (Ricordati che sei un uomo! Ricordati che devi morire!),sussurravano all'orecchio dei generali gli schiavi che li accompagnavano nella loro marcia trionfale.
Diciamocelo: la morte è una minchia di problema a cui tutti gli uomini, da quando sono esistiti, si son dovuti confrontare.
Tutte le religioni e tutte le filosofie che gli esseri umani hanno concepito avevano il fine ultimo di spiegare la morte o quanto meno di giustificare la vita. Certo, che d'energie fantasiose ce ne abbiamo profuse! Ma il problema è ancora lì ed ogni spiegazione e giustificazione, alla fine, ha sempre almeno una falla.
Quindi non sarà certamente da queste quattro povere righe che uscirà la risposta all'annoso problema.
E poiché si tratta di qualcosa d'irrisolvibile preferisco ignorarlo, proprio come voi tutti fate.
Quindi torniamo a noi, cioè ai perdenti.
Perché ci sono i perdenti? Perché gli esseri umani spinti da una forza irrazionale devono lottare sempre contro qualcosa o qualcuno per finire vinti o vincitori. Quando vincono si trovano un'altra sfida ... e così via, l'avventura ricomincia.
Personalmente se il processo fosse rivolto solamente verso le "cose", la "natura crudele"o  le malattie non mi sentirei capace di dare alcun giudizio negativo alla lotta per la ricerca della vittoria. Così non è quando invece l'uomo ha bisogno di lottare e di vincere per sottomettere altri uomini.
Ecco, in questo caso il mio pensiero si ribella.
Posso ribellarmi quanto voglio ma così è se vi pare o no!
Gli esseri umani trascorrono la maggior parte del loro tempo a battersi fra di loro cercando d'affermarsi gli uni sugli altri. Ciò avviene in qualsiasi ambito ma quello che restano i principale sono l'accumulazione della ricchezza e la presa del potere. Su questi due campi di battaglia chi s'impone può permettersi di proclamarsi vincitore assoluto ed s'inebria così tanto da illudersi d'essere al di sopra degli altri. Non più tardi d'un secolo e mezzo fa esistevano monarchi che si dicevano re od imperatori per volontà divina! Adesso nessuno si proclama asceso al trono per volere di Dio (sì, ce n'è uno: il papa!) ma sono intimamente convinto che, fra i potenti della terra, vi siano coloro che lo pensano anche senza confessarlo!
Ricordate Charlie Chaplin quando faceva giocare Hitler col mappamondo? Beh, chi mi dice che al chiuso d'una stanza non ci sia qualcuno che faccia la stessa cosa?
La ricerca dell'affermazione, del successo, la volontà di scalare una piramide fatta di essere umani per arrivare fino alla cima e sedercisi sopra, sembra essere l'istinto che condiziona l'agire di ogni uomo o donna. Ce lo insegnano nelle scuole fin da quando siamo piccoli e c'infarciscono d'ammirazione per uomini come Alessandro Magno, Cesare, Augusto, Carlo Magno, Tamerlano, Solimano, Gengis Khan, Napoleone ... tutte vite su cui si basano i modelli di riferimento della nostra società. Spesso si ripetono i loro aforismi (spesso banali) citati come frasi dal contenuto divino neanche se fossero estratti dalle tavole dei dieci comandamenti. Non sono più umani, ma super-uomini ... dei, insomma! Per me restano e rimangono dei psicopatici (con le dovute eccezioni!) disposti a tutto pur di salire in cima della piramide umana.
Siamo impregnati dalla cultura del successo perché si ritiene che questa sia il motore dell'umanità. Tale concezione è talmente radicata che è diventata un'ossessione tanto che in alcuni paesi dell'estremo oriente (Cina e Corea, per esempio), l'hanno adottata come modello per educare le ultime generazioni che dovranno diventare le prossime classi dirigenti.
Da quelle parti, nei paesi cosiddetti emergenti cercano d'emulare quello che viene mostrato dai paesi occidentali come il modello sociale  che dovrebbe renderli finalmente emersi!
Fra questi quello che conosco meglio, dopo l'Italia, è la Francia. I cisalpini hanno un sistema scolastico molto selettivo che mira a selezionare una ristretto numero di persone che dopo dovrebbero essere i funzionari dell'apparato statale. Tale organizzazione, detta delle "Grandes Ecoles", fu concepita (manco a dirlo) da Napoleone.
In realtà, nel secondo dopo guerra i grossi gruppi hanno attinto da queste università per cooptare nelle loro strutture i futuri grandi "manager". A partire da certi livelli di dirigenza, li trovate dappertutto, nelle grandi aziende e, spesso, oltre al loro curriculum scolastico sono legati da solide connessioni massoniche. Ciò che m'impressionò quando cominciai a vivere in Francia fu scoprire come la predestinazione al "successo" nelle giovani generazioni fosse già stabilita a ventiquattro, venticinque anni e come questi individui si sentano già vincenti, socialmente parlando, in giovane età. Com'è possibile che la nazione che ha prodotto la rivoluzione dei perdenti più famosa del mondo (il quarto stato), abbia ricreato dopo duecento anni un sistema dove esiste ancora una classe (quella dei burocrati) che domina sugli altri?
Che la controrivoluzione non sia ancora finita in Francia?
Mah!
Comunque sia, la società organizzata fra vincitori e vinti, fra dominati e dominanti è ancora imperante e rappresenta un elemento di frustrazione per chi non riesce ad arrivare ai vertici della piramide ma resta alla base.
Ultimamente ho pranzato con un signore che può essere considerato fra coloro che hanno fatto una invidiabile e brillante carriera nell'ambito di grossi gruppi industriali francesi (è stato a capo di tre delle più importanti aziende cisalpine). Purtroppo una malattia ha arrestato il suo progredire e malgrado che i suoi problemi di salute siano stati sconfitti lui ormai è fuori dal "grosso" giro!
L'ex-grand'uomo aveva l'aria un po' mesta, forse avvilita.
- Che fa adesso? - gli chiesi.
- Mah, vorrei dare una mano ad altri capi d'azienda per far crescere ancora di più le loro società! -
- Insomma, vuole fare il consulente ... il consigliori. -
- Il cons ... chi? -
- Sa, io sono siciliano ... nelle strutture mafiose ci sono coloro che consigliano ai capi ... gli advisor ... i consigliori, per l'appunto! -
- Ah, capisco. -
- ... e se invece la piantasse lì? ... invece di ronzare attorno al potere e di fare come gli ex-fumatori che sniffano il fumo delle sigarette degli altri ... girasse le spalle a tutto ciò e si dichiarasse finalmente "vinto"? Noi due abbiamo grosso modo la stessa età, se le statistiche hanno ragione, con un po' di fortuna dovremmo vivere ancora vent'anni. E lei vuole ancora stare lì a giocare a fare il manager? Perché? -
Non so se si toccò i suoi attributi sotto il tavolo (l'uomo ha vissuto diversi anni in Italia) ma non rispose. 
- E' bello essere della parte dei vinti ... - dissi forse ispirato dal buon Bordeaux - Noi siamo tanti, siamo quelli che facciamo l'umanità siamo alla base, senza di noi la piramide non esisterebbe neanche. Noi esisteremo sempre, magari in incognito, coloro che sono in cima non ci saranno più, sono destinati ad essere ricambiati, rimpiazzati ... anche noi lo saremo  individualmente ma la  nostra classe è solida e forte in quanto siamo un blocco unico, siamo anonimi e quindi duraturi. Noi, quelli della base, possiamo avere la mia faccia, quella dei miei figli, dei miei nipoti ma esisteremo sempre anche se ignorati. Son quelli come noi, che hanno costruito le città, i ponti, le muraglie Cinesi. Siamo noi che diamo la vita a questo mondo. Siamo in maggioranza, siamo quasi sette miliardi e per questo siamo i più forti. I vincitori fanno quello che vogliamo noi, loro non lo sanno ma sono i perdenti che fanno la storia. I perdenti restano, sopravvivono, i vincitori no e spesso spariscono nel mare magnum dei perdenti. E' solo una questione di tempo. -
L'ex grand'uomo mi guardò e non rispose.
Io alzai il calice che conteneva ancora qualche goccia di vino rosso.
- Brindiamo, brindiamo ai vinti ... brindiamo a noi! -
Continuò a guardarmi senza favellare, perplesso.
- ... io brindo ai perdenti ... che alla fine non perdono mai ... lei, lei faccia la minchia che vuole! -

... e così sia.







venerdì 12 dicembre 2014

... come eravamo?


Mi scuso con chi ama solo i miei racconti, ma ogni tanto ho bisogno di scrivere quello che penso ... ed oggi ho proprio voglia di lasciar libero l'italopensiero!

Tesi

Se vogliamo uscire dall'impasse economica sociale in cui siamo bisogna ritornare al modello italiano, quello che ci ha fatto rinascere nel dopo guerra quando l'industria di Stato ha trainato la crescita.

Premesse Storiche

Circa vent'anni fa distrussero l'industria di Stato in nome del liberismo nell'illusione che, prendendone l'eredità, sarebbe stato rimpiazzato da grandi gruppi privati che avrebbero promosso la crescita e favorito la ricerca. Ma gl'italiani non sono animato dallo spirito del capitalismo protestante, siamo cattolici. La maggior parte degli imprenditori italiani puntano all'arricchimento veloce, per investire su se stessi e sulla loro famiglia.
Perché siamo così ? Individualismo? Forse sì, ma io cerco di spiegarlo frugando nella nostra storia e nell' osservazione della morfologia geo-politica del bel Paese per più d'un millennio e mezzo.
Nei secoli l'Italia è stata frantumata in staterelli, la cui esistenza era favorita dalla Chiesa che mal vedeva un potere temporale tanto forte da poterla opprimere. Abbiamo avuto molti principi (con buona gloria di Machiavelli e Castiglione) con magnifiche regie e palazzi che hanno favorito l'arte e la cultura per abbellire le loro dimore ma nessuno ha veramente investito per rendere il suo dominio cosi potente da permettergli una politica espansiva necessaria per creare un grande stato. Si è dovuto aspettare la seconda metà del secolo diciannovesimo perché una casata decidesse, spinta da una classe borghese che voleva emulare quelle del nord Europa, di rendere lo stivale un solo paese.
Ma questo non è bastato per creare una vera classe imprenditoriale forte, anzi, per essere più precisi, una mentalità imprenditoriale capace di produrre gruppi industriali. Nella nostra storia recente (ultimi cento trent'anni, per intenderci) abbiamo annoverato tanti speculatori ma pochi industriali! Certo, abbiamo avuto degli esempi illustri soprattutto nel mondo della moda ma non sufficientemente imprenditori per divenire "capitani d'industria" su scala internazionale. Negli anni ottanta del ventesimo secolo ci sono stati degli imprenditori che hanno provato ad ingrandirsi e ad uscire dai confini nazionali (De Benedetti, Ferruzzi/Gardini e lo stesso Berlusconi. Li definirei comunque speculatori piuttosto che capitalisti industriali!) ma sono stati tutti ricacciati oltre le Alpi dopo esser stati ignominiosamente bastonati. Il caso Fiat è una storia a sé stante: l'evoluzione del gruppo non ci sarebbe stata se dietro non ci fosse stata l'Italia intera a sostenerlo ed a foraggiarlo fin dai suoi esordi e quindi se non fosse stato sostenuto dallo Stato (qualcuno si ricorda lo sforzo bellico della prima guerra mondiale, le casse integrazioni senza fine ed i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno?).

Teorema

Insomma grosse multinazionali non siamo mai riusciti a crearle e se non ci fossero state società come l'ENI, l'IRI, la SIP, l'ENEL ... noi saremmo ancora al palo e, non avendo neanche le realizzazioni strutturali (autostrade, linee telefoniche, linee elettriche) eseguite nel secondo dopoguerra, saremo ancora a raccontarci che small is beautiful!
Forse parto da lontano ma tutto questo parlare e girare intorno al problema del rilancio dell'economia e della crescita comincia a saturarmi.
L'Italia è una nazione di sessanta milioni d'abitanti, tutti geniali e simpatici ma con la genialità e la simpatia non si mangia.
Anche altri paesi hanno le loro qualità e s'identificano con peculiarità che li rendono unici e rimarcabili. Ma di chi sto parlando? Della Germania (81 milioni d'abitanti), della Francia (66 milioni), della Gran Bretagna (60 milioni), della Spagna (47 milioni) ... e tutti gli altri. Ogni paese lavora per uscire da quella che viene chiamata crisi  (ma noi sappiamo benissimo che non si tratta d'una crisi ma d'un cambiamento strutturale dell'economia mondiale).
Domanda: ogni paese preso a se stante potrà venirne fuori? O meglio: la Germania potrà farcela contro un mercato mondiale composto da sette miliardi (meno ottanta) d'abitanti di cui buona parte appartengono ai paesi emergenti caratterizzati da un'economia che diventa sempre più organizzata e sufficientemente ricca per sostenere il proprio sviluppo? La stessa domanda è lecito porla all'Italia, alla Francia, all'Inghilterra, alla Spagna ed a tutti gli altri. No, ogni singolo paese non può farcela ed i governanti lo sanno bene, ma per convenienza politica non lo confessano. Per venirne fuori i paesi europei hanno solo una soluzione: divenire un tutt'uno eliminando ogni separazione sostanziale. La strada è la condivisione, il superamento degli egoismi e l'accantonamento di ogni sentimento di voler prevalere sugli altri.
Purtroppo si tratta d'un processo lungo che, osservando le dispute fra nazioni, sembra quasi un'utopia. Forse bisognerà che si tocchi il fondo del pozzo per arrivare ad una presa di coscienza?
Forse, non so ... ma il cambiamento di direzione non è certamente per domani.
Quindi, poiché non possiamo aspettare che l'Europa si faccia veramente (quando cadranno i nazionalismi e si bruceranno le bandiere?), dobbiamo di nuovo ricreare il modello economico che s'è rivelato adatto alla ripresa e che ci ha consentito d'emergere in pochi anni dalle macerie della guerra. In poche parole bisogna riesumare un ente per la ricostruzione e non affidarsi a capitali stranieri che non svilupperanno mai la ricerca in Italia. Perché il punto è proprio questo: vogliamo riprenderci? Bene, finanziamo la ricerca e investiamo nelle infrastrutture che cominciano ad essere obsolete. Le piccole e medie imprese non possono permetterselo, non hanno i mezzi. Solo lo Stato può reperire le risorse finanziarie per sostenere la ripresa in un contesto mondiale aggressivo ed agguerrito.
Ma l'Europa non lo permetterà mai attraverso il trattato di Maastricht.
Che si fotta l'Europa! ... intendo quella di adesso inconcludente e che polemizza ancora sulla supremazia delle diverse politiche economiche nazionali.
Mentre il vecchio continente segue il suo lungo processo di presa di coscienza, noi non possiamo rimanere con le mani in mano.
Per crescere abbiamo bisogno d'aumentare l'indebitamento? Ebbene aumentiamolo.
L'Europa non fa niente per aiutarci veramente e c'impone solo uno sviluppo che prende ispirazione da quello tedesco. Ma noi siamo italiani ed il nostro capitalismo non ha la stessa struttura di quello francese o quello tedesco, siamo semplicemente diversi perché allora non seguire un sentiero di ripresa che ci è più congeniale? In ogni caso per l'Europa stessa è bene che l'Italia sia forte economicamente ... certo non dobbiamo creare dei carrozzoni che sono stati poi all'origine dello smantellamento dell'industria di Stato. Dobbiamo tenerli lontani soprattutto dalla politica e governarli da un istituto al disopra dei partiti (presidenza della Repubblica?). Il nostro modello del dopoguerra è quello che ci consentirà d'intraprendere la via più breve evitandoci di svenderci al primo offerente. E' certo che di quel modello dovremo tenere vivo il buono (spirito imprenditoriale e strategie industriali) e disfarci del cattivo (maneggio politico e clientelismo).
In Europa non si è voluto creare nessun sentimento di solidarietà ma si sono continuati a nutrire dei "distinguo" che continuano a farci sentire italiani, francesi, tedeschi, spagnoli ... fino a quando non si bruceranno le bandiere e ci si scorderà dei nostri nazionalismi niente di positivo potrà prospettarsi davanti a noi ... nel frattempo? Bene nel frattempo bisogna arrangiarci (siamo italiani, giusto? ... eh, eh!), fermando l'autolesionismo anche perché (diciamocelo!) teniamo famiglia e chi da mangiare alle creature? Angelina Merkel?
Quindi inutile inoltrarci su altri sentieri sconosciuti e lasciarci andare al depauperamento volontario per entrare a far parte di coloro che si sono immolati sull'altare del liberismo.
Bisogna solo essere pragmatici e non aggrapparci a scuole di pensiero economiche che sono sterili.
Noi abbiamo bravissimi imprenditori di aziende medio piccole che in quanto tali si battono in un mondo dove (alla faccia del liberismo!) valgono le regole dei più forti e di coloro che occupano larghe fette di mercato. Questi sparuti capitani di ventura (fra essi non annovero gli sparvieri, gli speculatori e gli sfruttatori che spesso si autoproclamano imprenditori) non hanno protezione. Non sostengo il becero protezionismo ma la creazione di strutture industriali (e non) forti e trainanti un'economia che non si riprenderà mai se non avviene niente che cambi velocità e dia sicurezza ad una nazione agognante.

Constatazione finale

Forse abbiamo ancora bisogno di uomini come Enrico Mattei, Raffaele Mattioli, Guidi Carli ed Ugo la Malfa, personaggi che durante la loro vita sono stati a lungo osteggiati ed accusati di dispotismo. Sarà, ma erano dei visionari senza i quali lo stivale non avrebbe ricucito le sue profonde ferite e provocato la sua (ri)nascita !
Una cosa è certa: da quando sono spariti dalla scena, l'Italia non è stata più come prima ed a cominciato a spegnersi.