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domenica 24 agosto 2014

Un giorno, sul finire d'agosto


Sono seduto su una panchina in ferro alla villa che per i siciliani è il giardino pubblico.
Ti ci portano da bambino alla villa, a giocare con gli altri bambini. Quando sei più grandicello ci vai a fare nascondino, a scambiare le figurine ed a spiare le coppiette. (forse, sto scrivendo di cose che non esistono più. Parlo di mezzo secolo fa).
Poi da adulto non ci vai più.
Ci torni quando sei vecchio. Ti siedi ed entri in un trance contemplativo dove l'occhio si perde fra il fitto fogliame degli enormi ficus e la mente fra i ricordi.
E lì aspetti.
Aspetti che il tempo passi ed è come se tu fossi in attesa d'un autobus in un viale solitario.
Io ci faccio qualche passeggiata alla villa e poi, quando trovo una panchina libera, mi siedo. Guardo un po' lo strascicato procedere dei rari visitatori, ascolto il vociare dei bambini e comincio a leggere.
Oggi sto seguendo il medesimo cerimoniale.
Qualcuno si siede accanto a me ma non alzo lo sguardo.
- Io non ho tempo per morire ... - dice una voce rauca, vecchia.
Non alzo la testa, ma muovo gli occhi e vedo delle scarpe da tennis verdi.
- Io non ho tempo per morire ... -
Ok, hai vinto! Ti guardo.
A fianco a me un volto d'un uomo vecchio, incurvato,con la pelle abbronzata, grinzosa, i capelli canuti e sul naso sono ancorati degli occhiali dalle lenti spesse.
- Io non ho tempo di morire ... ho 89 anni e sono nato nel 1916. -
- Impossibile ne avrebbe 98! - cado nel tranello.
- Sì, ne ho 89 però all'incontrario sono 98! - è tutto contento e mi rivolge un sorriso mostrandomi una bella dentiera.
- Lei è del nord? - aggiunge.
- Sono siciliano e vivo al nord. -
- Dove? Di Milano? -
- Sì. - inutile raccontargli tutta la mia storia - Ma lei ha veramente 89 anni? -
- Certo che ce li ho 89! -
- Complimenti. -
- Io non ho tempo per morire ... per questo sono ancora vivo. -
- E cosa fa per essere occupato? -
- Cammino ed parlo con i cristiani, come faccio con lei. Ogni mattina mia moglie si sveglia alle 4, mi fa il caffè ed io mi alzo e lei si corica. Io esco e cammino ... cammino e cammino. Parlo e parlo e frego la morte perché mi vede occupato e mi lascia in pace. Dormo poco, sennò mi frega quando sono a letto. Queste cose me le hanno insegnati gli antichi. Lo vuole sapere cosa metto nel borsello? - me lo mostra.
Non rispondo e gl'indirizzo un sorriso del tipo: faccia lei!
- Niente ci metto, solo le foto ... -
Le estrae. Sono datate ed inserite in bustine di plastica che le proteggono.
Vecchie immagini sbiadite.
- Questa è mia madre buonanima. Lo zio Carmelo, andò in California e non tornò più. Mio padre con mio nonno che era carabiniere. La vede la medaglia? Ammazzò un mafioso ... -
I colori sono un po' sbiaditi, virati seppia. La mamma dell'occhialuto ha un volto dai tratti fini ma con occhi un po' selvatici di contadina appena diciottenne, lo zio Carmelo aveva un aspetto da vero mafioso e mi domando perché il nonno ne avesse ammazzato uno annoverando già un membro dell'onorata società in famiglia.
- Belle foto. - gli dico.
- Le porto sempre con me, così quando non parlo coi cristiani parlo con i miei morti. -
- Certo, una bella maniera per essere occupato! -
Sto per chiedergli di cosa parla ai morti ma mi mordo la lingua, vorrei continuare la mia lettura. Io capisco che deve tanto parlare per mostrare che non ha tempo di morire ma, fra tutti i concittadini ed i turisti d'agosto, proprio me deve sconcicare!
- Beh, vado dal barbiere ... grazie per la conversazione! -
- Non c'è di che ... piacere mio! - e penso che uno dei suoi morti deve avergli suggerito di togliersi dai piedi. Che sia stato zio Carmelo? Mah!
Osservo il vecchietto allontanarsi con passo dondolante come se si trovasse sul ponte d'una nave in balia dei marosi. Ho un leggero senso di colpa mentre il mio sguardo si fissa sul suo borsello porta-morti.
Provo a concentrarmi sulla pagina che stavo leggendo ma ho difficoltà a reperire la riga su cui ero concentrato quindi il mio sguardo si volge in alto per osservare le fronde di una delle poche palme risparmiate dal punteruolo rosso. Ormai penso ad altro.

Ieri sono andato a fare un giro con la mia barca Libertà e mia figlia m'accompagnava. Il vento caldo entrava dai finestrini della vettura mentre ci recavamo a Marzamemi. In genere non usiamo l'aria condizionata per i piccoli viaggi, a noi piace così!
La macchina che ci precedeva lentamente s'arrestò e cominciò a far lampeggiare le luci di stazionamento. Io feci lo stesso.
- Ci sarà un incidente! - ipotizzò mia figlia - Qui guidano come dei pazzi! -
- Speriamo di no! -
La fila avanzava lenta ma a velocità costante.
Un uomo con un gillet arancione (ma si dice smanicato in italiano?) ed armato di una bandierina deviava il traffico. Poco più lontano le luci azzurre di quattro auto dei carabinieri. Si percorreva una sola corsia a senso unico alternato.
Ero pronto ad assistere ad un orribile spettacolo con magari dei corpi sull'asfalto bollente coperti da sudari.
Invece no.
Seduti su un muretto in pietra tutti in fila all'ombra di ulivi vi erano  una quarantina di persone. Fra loro diverse donne ed alcuni bambini. Avevano tutti un cartello attaccato sul petto, una specie di tesserina. Parlavano fra di loro e sembrava che fossero contenti. Ridevano. Sembravano che andassero ad un'allegra scampagnata.
Dei migranti, ecco cosa erano: dei profughi sbarcati da poco e sopravvissuti all'ultimo viaggio da incubo! Erano approdati finalmente sulla terra promessa! Ce l'avevano fatta! Dovevano provenire dal medio-oriente, forse dalla Siria: i vestiti delle donne e la loro guisa di portar il fazzoletto sul capo ne tradivano l'origine. Erano in attesa del mezzo che li avrebbe portati in un campo.
Noi, per la maggior parte vacanzieri, sfilavamo davanti a quella gente che fuggiva da vicende ben tragiche: due realtà stridenti messe una davanti all'altra.
Mia figlia ed io siamo rimasti attoniti ad osservarli ed io provai la spiacevole sensazione di trovarmi dentro un reportage televisivo.
- Che impressione, essere così vicino a quei poveri disgraziati! Quanta distanza c'è fra noi e loro, papà? - chiese mia figlia. Sapevo cosa intendeva: non la distanza geografica ma quella relativa alla qualità di vita.
- Tanta. Troppa. -

Le foglie delle palme ondeggiano al vento caldo proveniente dall'Africa.
Torno a leggere le ultime pagine del libro "Lettres sans Frontières": una raccolta di lettere di volontari dell'organizzazione non governativa Médecins sans Frontières. Gente generosa che, ognuna con motivazioni diverse, ha voluto annullare quella distanza. Gente anonima, brava gente.
- Oggi è lunedì ed il barbiere è chiuso ed io non ho tempo per morire ... -
Osservo le scarpe verdi davanti a me ... è strano essere condannato ad essere logorroico per sfuggire alla morte!
- Che sta leggendo? - mi domanda.
- Lettere senza frontiere. -
- Cosa? Giochi senza frontiere? Lo fanno ancora alla televisione? Lo sa che la città di Noto ha partecipato? -
M'arrendo. Sospiro ed alzo lo sguardo sul vecchietto che mi sorride trionfante.
- Me la fa vedere ancora la fotografia di zio Carmelo quello che andò negli Stati Uniti? -
Sì, è una resa senza condizioni.

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